“Il migliore amico dell’agricoltore”. La nostra storia, in breve. La raccontiamo in questa intervista che abbiamo rilasciato al periodico “Imprese Agricole” e riproposta dal sito specializzato in informazione agraria “Agricolturanews.it”. Buona lettura.
Parla il titolare dell’azienda agricola Bella Farnia, Francesco Agresti.
Come è nata l’idea di dedicarsi a questo particolare e originale tipo di allevamento?
“L’idea è nata dopo un viaggio in Canada nel 2003. Lì casualmente siamo entrati in contatto con alcuni allevatori che ci hanno fatto conoscere le potenzialità della lombricoltura. Pensare che in natura ci siano animali in grado di trasformare ciò che noi scartiamo nel migliore ammendante naturale capace di migliorare la struttura chimica, fisica e biologica del terreno ha esercitato su di noi un grande fascino. Abbiamo raccolto suggerimenti, spunti, suggestioni, li abbiamo lasciati sedimentare per qualche anno. Nel 2009 abbiamo avviato un allevamento di cavalli e, di conseguenza, avendo a disposizione quintali di letame da smaltire ci è sembrata l’occasione giusta per riprendere le fila del discorso lasciato in sospeso. Il primo anno lo abbiamo dedicato alla nostra formazione e alla conoscenza del mercato che era, ed è rimasto, caratterizzato da un’offerta, sia di lombrichi che di humus, piuttosto frammentata, con una diffusione a macchia di leopardo”.
Avevate già esperienze o attività in campo agricolo?
“No, fatta eccezione per l’orto domestico e qualche lettura. Ma l’idea di dedicarci a un’attività agricola l’avevamo in mente da diverso tempo, aspettavamo solo l’occasione giusta”.
Come avete acquisito le informazioni e le tecniche necessarie ad iniziare?
“Abbiamo raccolto i risultati delle ricerche scientifiche condotte soprattutto da Dominguez, biologo dell’università spagnola di Vigo, e Edwards dell’Ohio State University. In italiano non abbiamo trovato nulla di particolarmente approfondito. I testi su cui ci aggiorniamo li acquistiamo in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. Accanto a questa attività svolgiamo ricerche sul campo direttamente nei nostri allevamenti”.
Quali sono le maggiori difficoltà e criticità legate a questo tipo di allevamento?
“L’attività dell’allevamento è piuttosto facile da gestire, basta tenere sotto controllo alcuni parametri come la temperatura, il pH e l’umidità della lettiera che ospita i lombrichi. Inoltre occorre fare attenzione all’alimentazione. Nel caso si usi il letame, la sola matrice da cui è possibile produrre il vermicompost – termine con cui nel decreto legislativo sui fertilizzanti viene indicato l’humus di lombrico – occorrono alcune precauzioni. Il processo fermentativo del letame prevede una fase termofila durante la quale si raggiugono temperature molto elevate, a cui segue una fase mesofila, nel corso della quale la temperatura scende fino a raggiungere i 25 gradi. Giunti a questo punto se il pH ha raggiunto un valore superiore a 5 può essere somministrato ai lombrichi. Gli hobbisti che invece vogliono utilizzare gli scarti vegetali devono fare attenzione a farli decomporre a parte prima di darli in pasto. Anche il processo di fermentazione degli scarti verdi presenta infatti degli aspetti che possono nuocere ai lombrichi. Per questa ragione consigliamo di fare fermentare gli scarti lontano dalle lettiere e utilizzarli solo quando si sono decomposti”.
E dal punto di vista economico?
“Le difficoltà maggiori sono di ordine culturale e commerciale. Da una parte la diffidenza per un’attività poco diffusa e ancora inspiegabilmente poco nota, dall’altra l’adozione in passato di pratiche commerciali che portavano a “vendere” la lombricoltura come fosse la gallina dalle uova d’oro, hanno finito per gettare un’ombra su questa biotecnologia a basso costo che invece in altri Paesi, dagli Stati Uniti a Cuba passando per l’India e fino in Australia, ha una notevole diffusione. In Italia qualcuno è rimasto scottato e come sempre accade queste esperienze negative hanno finito per avere un’eco maggiore rispetto a quelle, e sono tante, positive. In ogni caso negli ultimi anni si registra un buon ritorno di interesse”.
Quali sono i vostri principali tipi di clientela?
“Le categorie di clienti potenzialmente interessati alla lombricoltura sono molte. Le aziende agricole biologiche, ad esempio, con un piccolo investimento e qualche mese di attesa potrebbero essere in grado di autoprodurre vermicompost – prodotto consentito in agricoltura biologica – e reintegrare la sostanza organica consumata dalle colture. Gli allevamenti potrebbero trasformare un problema in risorsa, la direttiva sui nitrati impone infatti di non superare una certa percentuale di azoto contenuto nei reflui per ettaro. Con la lombricoltura questi potrebbero essere trasformati in un prodotto commerciabile. In questo modo non solo abbatterebbero i costi di smaltimento ma potrebbero aumentare la redditività della loro azienda. I lombrichi inoltre possono essere utilizzati per lo smaltimento della Forsu, la frazione organica dei rifiuti solidi urbani. Anche in questo caso enti pubblici e privati potrebbero trasformare un problema in una risorsa. Il prodotto finale non può essere venduto come vermicompost, che può avere come matrice solo il letame, ma è pur sempre un concime in grado di apportare sostanza organica al terreno migliorandone la fertilità. Ci sono le famiglie che riciclando gli scarti possono autoprodurre humus. Il lombrico infine può essere utilizzato come alimento per gli avicoli, le tartarughe e i pesci in quanto le sue carni hanno una notevole quantità di proteine”.
Articolo di Emiliano Raccagni
Il servizio completo è disponibile su http://www.agricolturanews.it/allevare-lombrichi-perche-no/2/
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